Palpitations in a vacuum.

The hours a whipped cream

in a cup of fog.

On the bureau there used to be

a map of Brazil

made of foam rubber

where every state

was a different piece:

my long lost town

was way up there,

nothing more than a puzzle.

High

on the map

there was

an isolated state

where no one goes;

I know no one

who’s ever set foot there:

It’s called Roraima, and its existence is known only

because the Yanomami indians

still live there,

the most primitive

and wisest tribe

– so they say –

remaining on the planet.

Roraima is the Alaska of Brazil,

I thought,

amused by the idea.

There too are

high mountains and deserts

always covered with mist,

which rises from the jungle:

The Pico da Neblina.

A Mount Olympus

humid and of no use

for atheists and monotheists

like us.

I was looking at

that map on the bureau

through the little hole

in the metal clip

of the paperweight.

I pinpointed

the Bay of Guanabara

and centered it on my house.

I fantasized

that if I were

to pass through that hole

I would arrive straight away at my house

from the other side of the world.

What a strange thought!

After this I had

a coughing fit.

Since this morning I knew

I was on the verge

of a cold.

Then it happened

that the door of the refrigerator

refused to close

because there was too much ice

in the freezer.

I turned it off

and defrosted it.

I cleaned and dried it

and with this

the cold hit me

as it had wanted to do for some time.

But what was I supposed to do?

Leave the fridge

sleeping all night

with the door open?

What does the refrigerator have to do

with the mountain in the mist?

And where is the poetry,

my friend?

Well,

everything has to do with everything,

and poetry is everywhere,

my friend.

Everything has to do with everything.

Shall I show you?

My cold

resembles the water that dripped

inside the turned-off fridge.

It has to do with the music

that I am listening to as I write:

it’s “Dracula”

by Philip Glass.

It has a lot to do

with the mountain in the mist

or with a door

that refuses to close.

Yes, because the fact is

that everything has to do with everything.

The moon is related to

the waves of the ocean

– so they say.

The ass has to do

with the pants.

Honey has to do

with grease,

and the journey

with the calluses.

And then,

the grave awaits

with its stench of mildew

– and here Dracula

rears his head again.

There is the desire

for great things

and the enjoyment

of little ones.

(I saw a film this evening

on TV

in which a man dies

and leaves his lover pregnant

with their first child,

who he will never see.

In silence

I thanked the I-don’t-know-who

who has allowed me

to live long enough

to meet my own.)

You’re all good company

(a little too unobtrusive,

it’s true),

but please excuse me now:

a cup of hot tea

will help my cough.

The eskimos of Alaska,

do they too catch colds

and drink tea?

The eskimos of Alaska

are surely no less wise

than the Yanomami, I think.

Poetry is of course a beautiful thing

and it’s a beautiful thing to write it.

But who said

that poetry

is worth more

than a cup of tea?

Even Eliot quarreled with himself

in this way

before the taking

of a toast and tea.

I, however,

– I’ve already decided –

I will take my tea

with biscuits and butter.

And that’s the way I take life too.

At least I try.

Translated by Don Stang and Helen Wickes

RORAIMA, ALASKA

Batticuore nel vuoto.

Ore montate

su una tazza di nebbia.

C’era sul comò

una mappa del Brasile

fatta di gomma piuma

dove ogni stato

era una tessera colorata:

il mio paese perduto

era lì sopra

niente più

di un rompicapo.

Là su in alto

nella mappa

c’era uno stato

isolato

dove non va nessuno;

non conosco nessuno

che ci abbia messo piede:

Si chiama Roraima, e si sa che esiste

perché lì vivono ancora

gli indios Yanomami,

la tribù più primitiva

e più saggia

– così dicono –

rimasta sul pianeta.

Roraima è l’Alaska del Brasile

– ho pensato,

divertito dall’idea.

Anche lì ci sono

montagne alte e deserte

sempre coperte dalla nebbia

che si alza dalla giungla:

Il Pico da Neblina.

Un Olimpo

umido e inutile

per atei e monoteisti

come noi.

Stavo guardando

quella mappa sul comò

attraverso il buchino

della molletta di metallo

del fermacarte.

Ho centrato

la baia di Guanabara

e lì ho centrato casa mia.

Ho fantasticato

che se io riuscissi

a passare attraverso quel buco

arriverei subito a casa

dall’altro lato del mondo.

Che strano pensiero!

E mi è venuto

un accesso di tosse.

Da stamani sapevo

che ero sull’orlo

di un raffreddore.

Poi è successo

che la porta del frigorifero

si è rifiutata di chiudersi

perché c’era troppo ghiaccio

nel congelatore.

L’ho spento

e l’ho fatto scongelare.

L’ho pulito e asciugato

e con questo

il raffreddore mi ha colpito

come ben voleva da tempo.

Ma cosa avrei dovuto fare?

Lasciar dormire

il frigo tutta la notte

con la porta aperta?

Che c’entra il frigorifero

con il monte delle nebbie?

E dov’è la poesia,

caro mio?

Eh be’,

tutto c’entra con tutto,

e la poesia è ovunque,

caro mio.

Tutto c’entra con tutto.

Vuoi vedere?

Il freddo dentro di me

sembra l’acqua che gocciolava

dentro il frigo spento.

C’entra anche la musica

che sento mentre scrivo:

È il “Dracula”

di Philip Glass.

C’entra benissimo

col monte delle nebbie

o con una porta

che si rifiuta di chiudersi.

Sì, perché il fatto

è che tutto c’entra.

C’entra la luna

con le onde del mare

– così dicono.

C’entra il culo

con i pantaloni.

C’entra il miele

con il grasso

e il percorso

con i calli.

E poi,

c’è la tomba che aspetta

col suo lezzo di muffa

– e qui c’entra Dracula

nuovamente.

C’è il desiderio

di grandi cose

e il godimento

delle piccole.

(Ho visto un film stasera

alla TV

in cui un uomo muore

e lascia l’amante incinta

del suo primo figlio,

che lui non vedrà mai.

In silenzio

ho ringraziato non-so-chi

che mi ha permesso

di vivere abbastanza

per conoscere i miei)

Siete una bella compagnia

(un po’ troppo discreta,

è vero),

ma ora mi scuserete:

una tazza di tè caldo

mi farà bene alla tosse.

Gli eschimesi dell’Alaska,

anche loro si raffreddano

e prendono il tè?

Gli eschimesi dell’Alaska

non saranno meno saggi

degli Yanomami, credo.

La poesia è senz’altro una cosa bella

ed è una bella cosa scriverla.

Ma chi ha detto

che la poesia

vale di più

di una tazza di tè?

Anche Eliot si imbatté

in questo dubbio

before the taking

of a toast and tea.

Io invece

– ho già deciso –

prendo il tè

con i biscotti al burro.

E così prendo anche la vita.

Almeno ci provo.