I was waiting for a film to start

in front of the wrong cinema.

I was alone,

there wasn’t a line,

and the evening was darkening.

I was sitting on the steps

next to the statue of Puccini,

who was also seated,

in an armchair.

He held a cigarette

between his fingers.

I too would like to smoke,

but I gave it up

ten years ago.

Once

in a piazza in Rio

they unveiled

a bronze bust

of a friend of mine.

I saw it by chance,

while crossing distractedly.

And what a fright!

It was him

but with vacant eyes

and an enormous brown head

which just at that moment

was being soiled by a pigeon.

My poor friend,

poor Pedrosa,

what have your admirers

done to you?

By then I had realized

that it was the wrong theater.

But something held me

in that deserted piazza,

in the dusky twilight

which skimmed the windows.

All of a sudden,

and slowly walking backwards,

a tall man

with white hair

arrived.

He was looking at the sky, the chimneys,

and he was smiling ecstatically.

When he noticed me

he said softly:

“It’s the nightingale.

He will sing like this

all night long.”

Only in that moment I understood

why I was still waiting

in front of a closed portal,

why I wanted to

talk with Puccini,

why I had not moved

from my steps.

Beauty

had entered in me.

A gentle intoxication

of music.

A dizziness,

a lethargy,

a torpor in the air.

Hidden in an opening,

or between the roof tiles,

the little bird

holds dominion.

When I was a child

they would tell me

the legend of the uirapurú:

a tiny bird

of the Amazon.

When it sings the jungle

falls completely silent,

and the jaguar doesn’t roar,

the monkeys don’t scream,

not a single nut falls

through the foliage.

And night descends

on the piazza.

Descends on Puccini

and on all the music,

on the white hair

of the childlike man,

descends on my skin,

on everything down here,

on a world

that has chosen metal,

the sharp edges hidden by the darkness,

as its setting.

A world without a libretto.

Night descends,

but the Tuscan uirapurú

is still singing.

So let the curtain

of great night descend.


From your undiscoverable cranny

let this jungle be silenced.

As I am tired,

let silence fall on me as well.

Translated by Don Stang and Helen Wickes
Artwork by Mia Funk

MUSICA

Aspettavo l’inizio di un film

di fronte al cinema sbagliato.
Ero solo,
non c’era nessuna fila,
e s’incupiva la sera.

Ero seduto sullo scalino
accanto alla statua di Puccini,
anche lui seduto,
su una poltrona.
Aveva tra le dita
una sigaretta.
Vorrei fumare anch’io,
ma ho smesso
dieci anni fa.

Un tempo
avevano inaugurato
in una piazza di Rio
un busto di bronzo
di un mio amico.
L’ho visto per caso,
attraversando distratto.
E che spavento!
Era lui
ma con gli occhi vuoti
e una enorme testa marrone
che proprio in quel momento
era imbrattata da un piccione.
Povero amico mio,
povero Pedrosa,
cosa hanno fatto di te
i tuoi ammiratori?

A quel punto avevo già capito
che quello era il cinema sbagliato.
Ma qualcosa mi inchiodava
a quella piazza deserta,
al crepuscolo bruno
che lambiva le trifore.

E all’improvviso,
camminando a ritroso,
lentamente è arrivato
un uomo alto
con i capelli bianchi.
Guardava il cielo, i comignoli,
e sorrideva estatico.

Quando si è accorto di me
ha detto piano:
“È l’usignolo.
Canterà così
per tutta la notte.”

Solo in quel momento ho capito
perché aspettavo ancora
davanti a un portone chiuso,
perché volevo
discutere con Puccini,
perché non mi ero mosso
dal mio scalino.

Era entrata in me
la bellezza.
Un’intossicazione
benigna di musica.
Uno stordimento,
una spossatezza,
un torpore nell’aria.

Nascosto in una feritoia,
o tra le tegole,
il piccolo uccello
domina.
Da bambino
mi raccontavano
la leggenda dell’uirapurú:
uccello minuscolo
dell’Amazzonia.
Quando canta la giungla
fa un silenzio assoluto,
e non ruggisce il giaguaro,
non urlano le scimmie,
non cade nessuna noce
sopra il fogliame.

E scende la notte
sulla piazza.
Scende su Puccini
e su tutta la musica,
scende sui capelli bianchi
dell’uomo bambino,
scende sulla mia pelle,
su tutto quello che ci sta sotto,
scende su un mondo
che ha eletto il metallo,
gli spigoli nascosti nelle tenebre
a suo scenario.
Un mondo senza testo.

Scende la notte,
ma canta ancora 
l’uirapurú toscano.

Fai scendere tu allora
il sipario della grande notte.


Dal tuo introvabile anfratto
fai zittire questa giungla.

E fai zittire anche me,
che sono stanco.